R/escogita logo

the steed kulka presence on the world wide web

Camel Trophy Videogame vent'anni dopo:

dietro le quinte del primo videogioco commerciale italiano e degli anni pionieristici dell'home computing

Era una notte buia e tempestosa, letteralmente

Confezione aperta

Camel Trophy Videogame: l'interno della confezione.

Il vento si era levato impetuoso proprio in quel momento della notte in cui il tempo sembra smettere di scorrere. Quell'ora in cui il nostro organismo, dopo aver inutilmente atteso il riposo, sperimenta una sorta di corto circuito dei ritmi circadiani dilatando a dismisura la percezione soggettiva dell'asse temporale. In quella particolare notte dell'agosto 1995, pochi di coloro che come me si trovavano a Corfù, l'antica Corcyra, poterono dormire indisturbati. Una tempesta di acqua e vento si era messa a martellare l'isola, quasi fosse stata richiamata da presenze abissali giunte ormai oltre qualunque sopportazione dei nugoli di turisti che ogni stagione estiva trasformano un tranquillo lembo di Mediterraneo in una inquietante cacofonia di lingue e musiche dalle provenienze più diverse.

Corfu 1985

Corfù 1995: un albero si schianta su un adesivo del Camel Trophy.

Il mattino successivo tutto era tornato assolutamente normale e, salvo qualche onda di risacca che si attardava un po' più forte del solito sulla parte occidentale dell'isola, ben poche erano le tracce rimaste di quella sorta di anteprima notturna di Ragnarok, la fine dei tempi del mito nordico. Un incidente curioso aveva tuttavia richiamato la mia attenzione nella piazza principale di Corfù città: con precisione incredibile, un albero di discrete dimensioni aveva infatti deciso di cadere esattamente sopra un'unica autovettura parcheggiata senza neppure sfiorare gli altri veicoli che la affiancavano vicinissimi. La cosa mi parve tuttavia assolutamente scontata una volta notato l'adesivo che faceva bella mostra di sé sul posteriore della vettura. Una patacca giallo senape ("Pantone 116C", come avevo avuto modo di imparare) con un lettering familiare a comporre la scritta "Camel Trophy". La maledizione gibbuta aveva dunque attraversato lo spazio e il tempo per ricordarmi i suoi devastanti effetti. Chissà, mi chiesi, se almeno gli altri erano finalmente riusciti a scrollarsela di dosso.

Dieci anni e una vita prima

Estate 1985. Un pugno di appassionati programmatori macinava codice assembler nella calura milanese in una corsa contro il tempo per terminare un progetto ambizioso: il primo videogioco italiano per ZX Spectrum destinato a una diffusione commerciale di massa. Camel Trophy Videogame, ovvero la trasposizione su computer di un evento che in quegli anni tendeva a calamitare l'attenzione di pubblico e media organizzando raid automobilistici ovunque vi fosse un mix delle seguenti situazioni: lontananza dalla civiltà, condizioni climatiche insopportabili, malaria, tripanosoma (o malattia del sonno), indigeni ostili e belve affamate.

Erano gli anni del boom dell'home computer. Per la prima volta l'informatica entrava nelle case dei consumatori con la promessa di rivoluzionare la vita quotidiana dell'intera famiglia. Un frequente ritornello dei pubblicitari chiamati a promuovere con scarsa fantasia un prodotto effettivamente rivoluzionario era: "...la fantastica possibilità di gestire il proprio conto corrente, aiutare i ragazzi nello studio ed essere disponibile in cucina come comodo ricettario". Un comodo ricettario. In cucina. E come no, era l'applicazione che persino i padri fondatori dell'informatica come Charles Babbage e Vannevar Bush avrebbero voluto per le loro invenzioni.1

Per grande fortuna dei pubblicitari e dei loro budget, i produttori di computer loro clienti trovarono ben presto un mercato diverso da quello delle casalinghe riscontrando grande successo presso gli hobbisti appassionati di programmazione, di videogiochi e di programmazione e videogiochi. Un pubblico vastissimo, non obbligatoriamente limitato a studenti e teen-ager, che in poco tempo si mise a macinare vendite da capogiro. Apple II e Texas Instruments TI-99 negli Stati Uniti, Sinclair ZX-81 e ZX Spectrum in Europa, Commodore VIC20 e C64 in tutto il mondo. Il comodo anche se un po' costoso ricettario da cucina faceva entrare milioni di famiglie nel ventunesimo secolo con quasi vent'anni di anticipo.

Il repentino successo degli home computer, tuttavia, era ancora orfano di canali ufficiali per la distribuzione di software, canali che si sarebbero lentamente organizzati e diffusi col tempo: in quegli anni solo pochi titoli originali spesso datati erano reperibili direttamente presso gli stessi negozi che trattavano - con ben altro ritorno economico - hardware e periferiche. Chi non si accontentava di leggere le recensioni dei giochi che venivano sfornati a decine ogni mese dalle neonate software house britanniche o statunitensi era di fatto costretto ad approvvigionarsi all'estero, con le difficoltà facilmente immaginabili in un'epoca in cui la carta di credito era un curioso gadget e il fax ancora una rarità, oppure rivolgersi al sottobosco delle copie pirata, spesso coincidente con i summenzionati negozi di computer.

You'd Better Run

RUN n.1

Il primo numero di Run.

Una novità nel campo del software era però emersa nel novembre del 1983 con l'uscita in edicola della testata Run, la prima rivista che, pubblicata su cassetta, si leggeva completamente sullo schermo del computer, nello specifico il Sinclair ZX Spectrum. Articoli, esempi di codice, giochi: questa testata, fondata da Simone Majocchi come costola di Elettronica 2000 dalla quale ben presto si separò diventando del tutto indipendente, ebbe il merito di aprire alle cassette di software per home computer il canale distributivo più capillare tuttora esistente in Italia: quello delle edicole. Il suo successo fu tale da generare in pochi mesi un fenomeno di emulazione di vastissime proporzioni, pur con le dovute variazioni.

SM

Simone Majocchi nel 1985.

Oltre a essere coperto da brevetto, infatti, il concetto di "rivista su cassetta per computer" promosso da Run presentava due aspetti commercialmente poco appetibili per la concorrenza: un tempo di realizzazione editoriale non banale (e in effetti Run usciva con cadenza bimestrale) e costi di produzione rilevanti. Motivo per cui una vasta schiera di imitatori decise di concentrarsi sulla replica di giochi commerciali di provenienza estera (per lo più britannica per lo Spectrum, angloamericana per il Commodore 64) che venivano tradotti in italiano e riproposti con titolo e grafica differenti, inondando ben presto le edicole con cassette pirata di ogni specie e qualità per tutti i principali home computer allora sul mercato. Non riviste, sia chiaro: piuttosto semplici compilation di giochi piratati alla bell'e meglio, spesso malfunzionanti, che all'apice del fenomeno si potevano ritrovare contemporaneamente su più pubblicazioni di più editori con titoli differenti.

Produrre una raccolta di giochi piratati non era infatti difficile: bastava una fonte aggiornata di software originale (esisteva un discreto traffico di arrivi settimanali dall'estero, principalmente destinato al sottobosco di cui sopra), un manipolo di smanettoni che sapessero sbloccare le numerose e sempre nuove protezioni anticopia, tradurre eventuali stringhe di testo in italiano, preparare brevi e non sempre complete istruzioni, e inviare la bobina master a un duplicatore di nastri magnetici. Molte raccolte erano prodotte senza nemmeno far riferimento a una redazione; oggi si direbbe che erano semplicemente affidate in outsourcing a giovani esponenti della generazione dipinta dal film War Games il cui scopo sembrava essere quello di superare ogni mese la quantità di giochi "lavorati" del mese precedente. Una vera e propria catena di montaggio della pirateria che, sia pur facilitata da un certo momento in poi dalla disponibilità di utili aggeggi hardware (le famigerate "interfaccine" per lo sblocco e la copia dei programmi residenti in memoria), dava luogo a un netto scadimento qualitativo dei risultati. E ogni tanto qualcuna di queste raccolte, prodotte senza seguire altro criterio che quello della fretta, incappava nelle ire dei legittimi distributori di quei (pochi) giochi originali che tentavano la difficile strada del mercato ufficiale.

Apro qui una breve parentesi. Si sente ancora affermare la tesi secondo la quale il fenomeno della pirateria in edicola sia stato reso possibile per anni dall'assenza di una legislazione mirata alla tutela del software, e che ciò abbia conseguentemente ritardato l'affermazione di un mercato regolare come quello poi faticosamente emerso agli inizi degli anni Novanta. Questo è vero solo in parte. Pur nel vuoto legislativo vi sono stati infatti diversi casi, specialmente nella seconda metà degli anni Ottanta, di editori chiamati a rispondere di pirateria software di fronte a qualche pretore. Le azioni legali venivano solitamente promosse da quei pochi importatori/distributori ufficiali delle Case danneggiate, tanto che nell'ambiente circolavano elenchi di software house i cui giochi non dovevano essere nemmeno presi in considerazione per la ripubblicazione in edicola. I casi denunciati venivano solitamente tacitati con accordi stragiudiziali tra le parti: un titolo piratato poteva essere patteggiato con cinque/dieci milioni di lire, una somma che per il distributore rappresentava una cifra difficilmente totalizzabile altrimenti e che, dal punto di vista dell'editore, costituiva una sorta di "tassa" tutto sommato sostenibile per poter proseguire più o meno indisturbato un'attività capace di diventare anche assai lucrosa.2

Geek Magnet

Ben diverso invece il caso di Run, una rivista nata per passione che sapeva distinguersi anche per la presenza di una massiccia mole di materiale originale. Forse perché uscita sul mercato per prima, forse per il fatto di essere una vera e propria rivista su un piano a parte rispetto alle semplici raccolte di software, forse perché possedeva una redazione effettiva e dinamica, fatto sta che Run era riuscita a riunire ben presto un gruppo di collaboratori regolari dal background variegato ma accomunati da uno spiccato interesse a sperimentare ed estendere i limiti della programmazione allora comunemente in voga sullo ZX Spectrum.

EC

Vent'anni dopo: Eugenio Ciceri a Varese Retrocomputing 2005.

Il primo ad entrare a far parte dell'organico stabile della redazione fu Eugenio Ciceri, il cui titolo ufficiale di "Master Supervisor" riportato nella gerenza della rivista poteva essere descritto come quello di un vero e proprio resident hacker. Come accaduto a diversi altri dopo di lui, si presentò in redazione per cercare degli arretrati... e Simone Majocchi lo fece uscire con un incarico di collaborazione in tasca. Il suo primo lavoro, Run Blaster, apparve sul numero 4 nella primavera 1984; di lì a poco si sarebbe dedicato a tempo pieno alla rivista diventando un punto di riferimento consueto per tutti coloro che frequentavano l'ambiente di Run e alleviando il notevole carico di lavoro fino a quel momento sopportato quasi interamente dallo stesso Simone Majocchi con l'ausilio di qualche collaboratore occasionale.

Avendo il sottoscritto la ventura di essere amico nonché vicino di casa di Eugenio, riuscii a resistere solo pochi mesi alle descrizioni entusiastiche che mi faceva del suo nuovo lavoro. Nel luglio 1984 andai a conoscere la redazione, a settembre consegnai il mio primo progetto, Palombaro, pubblicato sul numero 6, e a dicembre aggiunsi alla collaborazione con la testata italiana anche l'incarico di Master Supervisor della neonata edizione tedesca della rivista destinata a Germania, Austria e Svizzera - la cui denominazione dovette essere tuttavia modificata in ZX Soft per evitare sovrapposizioni con una omonima testata cartacea già presente su quei mercati.

BM

Vent'anni dopo: Bruno Molteni a Varese Retrocomputing 2005.

Un'ulteriore colonna portante divenne ben presto Bruno Molteni, altro caso di lettore trasformato in collaboratore dopo essere venuto semplicemente per acquistare degli arretrati. Bruno si fece subito notare per una interessante routine capace di stampare testo a video con caratteri proporzionali: adottata entusiasticamente a partire da Run 10-11, permise di estendere la lunghezza delle righe di testo delle schermate che componevano le "pagine" della rivista rendendole inoltre più compatte, leggibili e gradevoli. Il MiniWP Proporzionale, ufficialmente denominato Word 4.0 Standard Writer, fu l'equivalente di un redesign dell'aspetto grafico della rivista.

Erano i mesi in cui in televisione impazzava la serie V-Visitors, IBM girava il mondo con la manifestazione itinerante ExhiBIT e Ronald Reagan conquistava la sua seconda presidenza lasciando al suo avversario solo 2 voti elettorali, un record. Allora non lo sapevamo, ma dietro le quinte di Run si stavano gettando i semi del Grande Gioco Gibbuto.


1 - Vale la pena ricordare come questo capolavoro di creatività applicata tornò nuovamente in auge nei primi anni Novanta nelle pubblicità con cui la Philips tentò di promuovere il suo CD-I, una sorta di computer mascherato da componente hi-fi simile al CDTV prodotto dalla Commodore. Torna al testo

2 - Per dare un'idea delle dimensioni del fenomeno, uno dei duplicatori allora presenti sul mercato italiano ha affermato di aver prodotto in quegli anni letteralmente milioni di nastri contenenti raccolte software destinate alle edicole - e si tratta di una sola delle numerose aziende del ramo attive in quegli anni. Torna al testo