R/escogita logo

the steed kulka presence on the world wide web

Camel Trophy Videogame vent'anni dopo:

dietro le quinte del primo videogioco commerciale italiano e degli anni pionieristici dell'home computing

I prodromi del Gibbuto

Battery Game Movint

FIAMM Battery Game - edizione per il MOVINT 84

Battery Game Nautex

Edizione per il NAUTEX 85

Battery Game Marine

Edizione per il MARINE 85. Immagini realizzate con una stampante ad aghi a colori Seikosha GP-550.

La routine - se tale poteva essere definita - della produzione redazionale aveva trovato una prima variazione nella primavera del 1984 con un semplice gioco in Basic richiesto da un produttore di batterie industriali allo scopo di controllare l'assegnazione di premi e omaggi ai visitatori dei propri stand fieristici. Denominato FIAMM Video Battery Game, questo programma scritto da Eugenio Ciceri fu utilizzato per la prima volta in occasione del MOVINT 84, il salone internazionale della movimentazione industriale, e la soddisfazione del cliente fu evidente tanto che ne commissionò successivamente altre due versioni presentate rispettivamente al NAUTEX 85 e al MARINE 85. Il meccanismo del gioco era quanto di più lineare possibile: il visitatore doveva presentare una cartolina di partecipazione numerata, digitarne il codice al computer e tentare quindi di aprire le quattro porte di un magazzino con un carrello elevatore (nella versione MOVINT) o far attraccare un motoscafo a quattro moli di un porticciolo (nelle altre due versioni di tema nautico). In realtà il programma confrontava il codice inserito dal giocatore con l'elenco delle cartoline vincenti precedentemente sorteggiate influendo quindi sulla possibilità di concludere con successo la missione e reclamare il premio. Si trattava in pratica di un modo simpatico e più coinvolgente per verificare l'eventuale vincita in seguito a estrazione; meccanismi di questo genere sono diventati in seguito una presenza alquanto comune a fiere e manifestazioni di ogni genere, ma all'epoca del Video Battery Game erano ancora una curiosa novità: non sarei meravigliato di scoprire che, anche in questo caso, la redazione di Run fu la prima ad aprire un nuovo filone di applicazioni custom per la pubblicità e la promozione.

La cosa importante, però, era quella di essere riusciti con questo progetto a dimostrare sul campo le potenzialità del binomio tra gioco e marchio commerciale. Era tempo di iniziare a pensare a ulteriori sviluppi.

Il dromedario si mette in marcia

Se l'idea di realizzare un gioco collegato al Camel Trophy era certamente germogliata nella mente di Simone Majocchi nel periodo estivo, la stagione decisiva per le sorti del progetto fu tuttavia l'autunno del 1984. A quell'epoca, infatti, risalgono le prime riunioni e presentazioni dell'idea. Insieme con l'agenzia milanese che allora curava la promozione del Camel Trophy per conto del proprietario del marchio vennero concordati sia una prima bozza di storyboard, sia un possibile piano di rientro economico: fin da subito, infatti, fu chiaro che un'iniziativa di tale portata presentava potenzialità commerciali tali da portare non soltanto al recupero dei costi di produzione, ma anche a un ricavo netto. Proprio questo aspetto costituì probabilmente la molla che consentì di ottenere luce verde da tutte le parti coinvolte nel progetto nonostante le immancabili resistenze che le proposte troppo innovative sono solite suscitare anche in settori spesso ritenuti erroneamente creativi come la promozione e la pubblicità. L'approvazione del cliente confermò la regola secondo la quale è molto più facile che un budget venga destinato a un'iniziativa capace di ripagarsi anche solo parzialmente, piuttosto che a una sicura spesa secca.

Bozza storyboard

Il progetto nasce con questi primissimi appunti di Simone Majocchi...

Bozza schermate

...accompagnati da qualche idea per possibili schermate.

Era logico che non sarebbe stato possibile applicare il logo del Camel Trophy a un gioco qualunque, per quanto ben fatto. Il programma avrebbe dovuto richiamarsi il più possibile alla realtà mantenendosi rigidamente in sintonia con la brand identity, ovvero quell'insieme di linee guida che descrivono e regolano in dettaglio l'utilizzo di un determinato marchio per assicurarne un impiego uniforme e, di conseguenza, garantire l'omogeneità della comunicazione che lo utilizza. Ecco dunque che la prima fase del Camel Trophy Videogame, contenente un test sulle conoscenze teoriche di meccanica, guida fuoristrada, sopravvivenza e pronto soccorso, venne completamente basata sulle domande utilizzate nel corso delle selezioni per il vero Camel Trophy. Anche i particolari meno appariscenti non sfuggivano al controllo. Per esempio, la grafica della sezione Costruzione Land Rover nel terzo blocco del gioco conteneva in origine una tenda da campeggio di colore rosso: tale scelta cromatica fu immediatamente cassata perché il rosso avrebbe potuto richiamare alla mente un marchio di sigarette concorrente, e quindi il suo utilizzo era praticamente fuori discussione. Anche un innocente elemento grafico di contorno come la giunca che nella mappa del Borneo del primo blocco ha la funzione di occupare uno spazio altrimenti vuoto, è frutto di una modifica imposta: nella prima versione era stato inserito un machete, ritenuto però troppo "violento" per il messaggio legato al Camel Trophy, e quindi sostituito. La cosa curiosa è che lo scudo con le lance tribali che assolve la medesima funzione riempitiva nella cartina dello Zaire venne approvato senza alcun intoppo. Misteri della brand identity...

A dire la verità, le modifiche richieste in corso d'opera furono alquanto rare e tutto sommato logiche, grazie anche alla buona quantità di lavoro esercitato in fase di stesura dello storyboard. Le linee guida erano poche e precise: si doveva evitare la "morte" del concorrente, l'uccisione di animali o avversari di qualunque natura, e mantenere il rispetto dell'ambiente. Poiché, tuttavia, il gioco doveva avere per quanto possibile le caratteristiche di un simulatore dell'avventura rappresentata dal Camel Trophy, a un livello di dettaglio successivo gli elementi da prendere in considerazione erano quasi infiniti.

L'organizzazione mise a disposizione una quantità di materiale di background testuale e fotografico, si sottopose volentieri a lunghe sessioni di domande e risposte, e partecipò a riunioni creative finalizzate alla messa a punto dello storyboard. Gli spunti e le idee emergevano senza soluzione di continuità; con il senno del poi, il progetto sarebbe stato particolarmente adatto ad essere ripreso una decina d'anni dopo quando l'evoluzione delle caratteristiche multimediali dei computer, unite alla notevole capacità di memorizzazione del CD-ROM, avrebbero permesso una maggiore fedeltà all'esperienza reale. Ovviamente nel 1985 si doveva fare i conti con 48 kilobyte di memoria, uno schermo di 256x192 punti di risoluzione, 16 colori indirizzabili a coppie in blocchi di 8x8 pixel, e soprattutto un supporto di massa sequenziale e lento come il nastro magnetico. Per questo si decise di scorporare dal gioco vero e proprio - denominato arcade - le parti che potevano logicamente vivere per conto proprio, come i test attitudinali o le scelte del percorso, cui vennero dedicati rispettivamente il primo e il secondo blocco del prodotto definitivo.

Si giunse così a uno storyboard finale che aveva il pregio di lasciare mano libera dal punto di vista tecnico pur essendo completo sotto ogni altro aspetto. La mappa che conduceva al nostro Camel Trophy digitale ci venne consegnata ai primi di giugno del 1985. Il traguardo: metà settembre. Finalmente si partiva.