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Camel Trophy Videogame vent'anni dopo:

dietro le quinte del primo videogioco commerciale italiano e degli anni pionieristici dell'home computing

Questa sera tutti a casa di Murphy

Mappa dosso

Uso della mappa del display file dello ZX Spectrum per realizzare la prova del superamento dosso.

Il primo appuntamento con lo staff del Camel Trophy per il controllo dello stato di avanzamento lavori minacciò di trasformarsi in una ennesima conferma della validità della Legge di Murphy, secondo la quale se una cosa può andare storta senz'altro lo farà e nel momento in cui può recare maggior danno: quello che i programmatori solitamente chiamano "effetto demo". Attorniato dal capannello dei miei interlocutori mentre spiegavo loro cosa era stato fatto e quali erano i punti su cui attendevo ancora dati o decisioni, il software continuava a bloccarsi in maniera del tutto casuale su routine che erano state perfettamente debuggate e perfezionate. Iniziavo a sentirmi come quei collaboratori che incappavano in qualche errore di programma nei loro lavori proprio quando li presentavano in redazione, un'esperienza che prima o poi capitava un po' a tutti, e che tutti tendevano a commentare sconsolati con la frase-tormentone: "Ma a casa mia funziona!".

Se oggi un reboot di un computer può richiedere al più un minuto di tempo, sullo ZX Spectrum le cose andavano invece assai più lentamente, specialmente considerando il fatto che il caricamento avveniva da nastro - e nemmeno in turbo - dal momento che durante le dimostrazioni e i test principali l'interfaccia per i floppy disk doveva essere scollegata perché diminuiva la quantità di RAM a disposizione e modificava la mappa della memoria, mentre per le prove preferivamo ricorrere sempre alla configurazione effettiva cui era destinato il programma. Ogni crash inaspettato significava quindi ricaricare lentamente il tutto da nastro, il che equivaleva a un imbarazzante periodo di qualche minuto dove l'emisfero sinistro del cervello cercava disperatamente di capire cosa stesse andando storto mentre quello destro dava il meglio di sé in termini di public relation per minimizzare l'accaduto e distrarre gli astanti. Dalla scrivania di fronte Eugenio mi guardava perplesso, dato che anche lui aveva sperimentato come il software funzionasse perfettamente prima della dimostrazione. La validità dell'enunciato "a casa mia funziona" in quell'occasione aveva un testimone.

Per un caso fortuito, il quarto o quinto crash del computer avvenne durante un repentino momento di silenzio generale. E allora udii distintamente, alle mie spalle, un click rivelatore: uno degli intervenuti che assisteva alla demo dietro di me si era infatti appoggiato con la schiena al muro baloccandosi con un interruttore della luce collegato a una stanza adiacente. Non potendo esigere più di quel tanto dalla rete elettrica di un palazzo ottocentesco, quel giochetto creava disturbi che arrivavano fino alla presa del mio computer mandandolo in tilt. Avrei volentieri applicato alla testa del malcapitato le tecniche di riduzione degli aborigeni del Borneo che avevo appreso da Francesca, una ragazza che lavorava in un ufficio attiguo al nostro e che pare - non volli mai approfondire - esibisse nella propria camera da letto un cranio rimpicciolito ottenuto durante un viaggio in quelle giungle remote. Mi accontentai invece di poter completare con successo la dimostrazione senza ulteriori momenti di panico.

Un altro fatto da annali dell'informatica applicata avvenne invece durante una sessione di lavoro nel fine settimana a casa di Eugenio. Uno dei miei floppy si era improvvisamente rifiutato di funzionare restituendo ripetuti errori di lettura. Ovviamente del contenuto di quel dischetto non esisteva il backup, altrimenti tutto avrebbe funzionato perfettamente - uno dei molti assiomi legati alla Legge di Murphy. Dopo prolungati quanto inutili tentativi Eugenio fu colto da un'ispirazione: aprì fisicamente il floppy strappando l'involucro esterno, estrasse il dischetto propriamente detto, lo inondò di crema solare, quindi lo lavò con il sapone, lo asciugò accuratamente e riassemblò il tutto. Per incanto, il dischetto era nuovamente leggibile senza problemi. Copiammo a razzo tutti i dati, commentammo divertiti l'accaduto e iniziammo a essere rosi dal dubbio che, per funzionare, la tecnologia potesse talvolta aver bisogno di approcci assolutamente controintuitivi e assolutamente non scientifici. Un'ipotesi non certo confortante considerando che le settimane iniziavano a scorrere veloci e che per arrivare puntualmente alla scadenza del progetto non avevamo certo bisogno di iniziare a occuparci di voodoo. E invece...

Una gobba che non porta fortuna

Voodoo

Dalla tecnologia alla superstizione: ecco il sacrificio notturno del codice del "Gibbuto".

Non era passato molto dall'inizio del lavoro di programmazione che iniziammo infatti ad associare al dromedario l'identità di un animale arrecatore di sventura; nessuno di noi era particolarmente scaramantico, ma a un certo punto parve chiaro anche agli scettici che la redazione stava diventando sempre più un attrattore di sfortuna. Non parlo tanto dei semplici contrattempi immancabili in qualunque progetto, quanto piuttosto di piccole e grandi sventure che tendevano a capitare con irritante regolarità a chiunque avesse anche un vago contatto con la realizzazione del gioco. A un certo punto bastava lanciare la maledizione "Camel!", usualmente preceduta da un gracchiare corvino, per resettare a distanza i computer dei colleghi (non scherzo: succedeva davvero). A volte sembrava di vivere il film "Fuori Orario", dove il protagonista (l'attore Griffin Dunne), al termine di una giornata dove ogni cosa era andata assolutamente storta, si inginocchia disperato sotto la pioggia gridando al cielo: "Cosa vuoi da me? Sono solo un programmatore di computer!". Inutile specificare che, a un certo punto del film, il personaggio rivela chiaramente di essere un fumatore... di sigarette Camel.

La scalogna legata al gibbuto animale divenne da allora un tormentone per colleghi e amici anche se, a un certo punto, con Simone ed Eugenio si decise di compiere un rito propiziatorio. Una notte "sacrificammo" infatti un nastro magnetico con incisa una copia di tutto il codice del Camel Trophy Videogame scritto fino a quel punto dandogli fuoco in un portacenere di plastica. Cosa curiosa, il portacenere ne uscì completamente intatto senza tracce di bruciature - come invece accadeva regolarmente quando si spegnevano i normalissimi mozziconi di sigaretta. Anche per questo l'albero abbattutosi a Corfù su un'auto con l'adesivo del Camel Trophy mi sembrò una situazione tutto sommato scontata.

Per terra

Quando piove e l'unico tavolo è occupato dai computer (in alto a sinistra), l'alternativa è apparecchiare per terra.

La base di codice aumentava e nel frattempo eravamo arrivati al mese di agosto. L'ufficio si era svuotato e l'afa milanese iniziava a farsi meno sopportabile. In redazione ero rimasto con Bruno: il suo spriter si trovava in un punto critico, mentre io avevo ormai terminato i due blocchi in Basic ed ero quindi passato a stendere codice macchina per alcune sezioni del blocco arcade. Bruno lanciò allora l'idea di trasferirci per qualche giorno nella sua casa sul Lago Maggiore, giusto per rinfrescarci le idee. Caricammo computer, monitor, stampanti e floppy in macchina e ci fiondammo verso la sponda piemontese del lago: anche se trascorsa in gran parte davanti alla tastiera, sarebbe stata l'unica vacanza di quell'estate.