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Camel Trophy Videogame vent'anni dopo:

dietro le quinte del primo videogioco commerciale italiano e degli anni pionieristici dell'home computing

Epilogo

Fronte confezione

La confezione del prodotto finito.

Vuoi il fascino del marchio, vuoi la pubblicità che - per la prima volta nel caso di un videogioco - usciva dall'ambito delle riviste specializzate coinvolgendo più mezzi di comunicazione e superando i ristretti confini degli hobbisti, vuoi l'attesa sapientemente preparata con riprese redazionali da Topolino in giù, vuoi la particolare attenzione riservata da parte delle edicole e dei loro distributori, fatto sta che il Camel Trophy Videogame fu un bruciante successo di vendita. Personalmente non ebbi mai modo di vedere i dati ufficiali, ma basterebbero le cifre di cui sentii parlare - e di cui non ho motivo di dubitare - per attribuirgli la palma di videogioco più venduto in Italia per almeno un quinquennio: fino a quando, cioè, anche la grande editoria tradizionale mostrò di accorgersi delle potenzialità rappresentate dal canale delle edicole iniziando le vendite di giochi per computer (ormai su CD-ROM e non più su cassetta a nastro) in abbinamento con quotidiani e settimanali. Il record di vendite fu reso ancora più significativo dal fatto che il computer prescelto per il progetto, lo ZX Spectrum, pur godendo di una buona presenza di mercato non fu certamente il modello più venduto in Italia, dove la macchina a 8 bit che andava per la maggiore era indubbiamente, ahimé, il Commodore C64.

Retro confezione

La parte posteriore della confezione.

Più tiepida fu invece la critica. La stampa specializzata, forse delusa per essere stata sistematicamente (e curiosamente) ignorata dalla pianificazione pubblicitaria, parve quasi non accorgersi dell'evento. Le sporadiche recensioni, compresa una risicata colonna apparsa su MC Microcomputer, puntarono il dito sulla differenza tra i primi due blocchi del gioco, sostanzialmente eleganti e piacevoli, rispetto alla difficoltà del blocco finale, ricco di situazioni differenti ma avaro in quanto a effetti di contorno e certamente "faticoso" da portare a termine. Paradossalmente, proprio quest'ultima critica corrispondeva al principale complimento che avevamo ricevuto dai componenti l'organizzazione del Camel Trophy - in generale entusiasta dei risultati dell'intero progetto - poiché, a loro dire, eravamo riusciti nell'impresa di trasferire nel gioco certe sensazioni che caratterizzavano le vere spedizioni, inclusa appunto la fatica. Credo che qui l'equivoco fu generato dalla scelta di proporre il gioco come "arcade" anziché, più propriamente, come "simulatore", un genere che ancora non era così di moda come lo sarebbe stato sullo scorcio degli anni Ottanta quando l'entusiasmo fu tale che pagine e pagine di intere riviste di computer sarebbero state stampate semplicemente ricombinando ad libitum le parole simulazione - interattività - multimedialità e loro derivati. Nel numero 12 di Run, il primo pubblicato dopo l'uscita del Camel Trophy Videogame, apparve un articolo che forniva qualche utile suggerimento per superare almeno gli scogli unanimemente giudicati più ardui.

Comunicato stampa

Il comunicato stampa per l'uscita del gioco.

È pur vero che, per quanto riguarda i videogiochi, il grado di difficoltà risulta spesso soggettivo. La prova arrivò agli inizi del 1986, quando fummo invitati dall'organizzazione del Camel Trophy a partecipare a Novegro alle finali delle selezioni del team italiano per la spedizione australiana di quell'anno approntando una postazione dove il pubblico avrebbe potuto cimentarsi con il Camel Trophy Videogame. Assistendo alle partite potemmo verificare come numerosi giocatori riuscissero in realtà a superare le prove più ostiche con risultati spesso migliori di quelli ottenuti da noi che pure ne eravamo gli autori e che, conseguentemente, un trucchetto o due in più forse lo conoscevamo. Il famigerato blocco arcade riscuoteva gradimento: anzi, le prove più semplici venivano considerate come una sorta di intervallo in attesa di cimentarsi nuovamente con sezioni come "Attraversamento Ponte" o "Costruzione Land". Chi riusciva a superarle provava una concreta soddisfazione e non vedeva l'ora di ritentare per migliorare ulteriormente tempi e punteggi.

Ma con le selezioni di Novegro calò il sipario sull'intero progetto. Run aveva appena pubblicato quello che sarebbe stato il suo ultimo numero mentre Simone Majocchi era ormai completamente assorbito dalla nuova (e meno fortunata) avventura del Videotel e di Lasernet 800. Lo stesso ZX Spectrum stava per avviarsi lungo un anticipato declino favorito da errate scelte di business, e ben presto tutti noi saremmo passati a occuparci di altri computer, altri ambienti, altri sistemi operativi, altre sfide. Ma a distanza di vent'anni è ancora il Camel Trophy Videogame che mantiene un posto speciale tra i ricordi di chi vi ha preso parte; e per quanto mi riguarda personalmente, quella che per mix di entusiasmo, intensità, difficoltà e spirito di gruppo rimane un'esperienza davvero indimenticabile.

Milano, giugno 2005
per Donatella, che è corsa più avanti di tutti